
da Lia Grisolia
Arbëria non è solo una denominazione geografica, un nome che designa semplicemente un luogo o una regione; questo nome identifica la cultura e la civiltà arbëreshe, che vive in Italia da oltre cinque secoli. Arbëria sottolinea soprattutto appartenenza alla sfera dei sentimenti, senso di affetto di ogni suo figlio alla propria cultura, al proprio territorio, alla propria lingua, al proprio rito che si sono tramandati di generazione in generazione. Un patrimonio culturale fatto di tradizioni, leggende; canti popolari ricchi di segni e simboli che rinviano a significati più profondi, riguardanti i momenti fondamentali della vita (la nascita come la morte, l’amore per un essere umano come per la propria terra); significati che cementano il legame tra gli italo-albanesi e il motto “GIAKU JONE I SHPRISHUR” (ossia ” la nostra cultura e tradizione sparsa per l’Italia”) rivela tutta la profondità dell’avere radici comuni. Appartengono all’ Arbëria le numerose comunità che sorsero in Italia più di cinquecento anni in seguito all’esodo di un popolo che dalla sua patria, l’Albania, fuggiva per non assoggettarsi alle prepotenze degli invasori turchi; un popolo fiero, dignitoso e amante della libertà che ha trapiantato e costruito sul suolo italiano tutto il suo mondo, continuando a difenderlo nei secoli dalle più svariate prepotenze. Il sentimento di nostalgia per la patria abbandonata è stato sempre presente nell’animo degli arberesh, tanto che interi paesi sono stati costruiti tenendo presente il modello urbanistico dei paesi della madre patria; altresì frequenti sono stati gli scambi culturali tra gli italo-albanesi e la madrepatria e questi sono diventati più frequenti negli ultimi decenni anche per la ritrovata libertà e democrazia della terra d’origine.
Durante il 550esimo anniversario della morte di Giorgio Castriota Skanderbeg, all’apertura della settimana che ha celebrato l’ATLETA DI CRISTO”, si è percepito il significato di Arberiabashkë. A Cosenza, nei saloni del Seminario Diocesano dell’Eparchia di Lungro Papas Pietro Lanza ha spiegato ai presenti i valori della cultura Albanese, la loro integrazione nella terra di Calabria. Incontrando il passato, ricucendo il sentimento attribuito al valore della tradizione, del rito ma al tempo stesso del mito, il Vicario dell’Eparchia Di Lungro tessendo con minuzia il filo cronologico della storia, ha saputo collegarlo al valore del rito bizantino, a quello del canto popolare della tradizione intonato a cappella oppure accompagnato dal suono vibrante di chitarre che hanno sfiorato sagge note che parlano ai ricordi emozionando e commuovendo i presenti, riscoprendo le pagine di storia che si è percepita essere viva. Motivo d’orgoglio per le comunità italo-albanesi di Calabria è, ancora, il lavoro di ricerca di fonti storico-religiose tenuto all’Università della Calabria dal Professor Attilio Vaccaro e il lavoro del Dottor Ernesto Madeo che hanno creduto in questa realtà creando un’azienda che continua a crescere offrendo speranza ai giovani e dimostrando la parte produttiva e dignitosa della nostra regione. Le voci del gruppo Moti i parë, di Santino De Bartolo e di Francesca Prestìache hanno saputo incorniciare e fomentare l’importanza di rimanere uniti, e come l’Arbëria sia motivo di orgoglio di una tradizione viva che deve essere dalla Calabria celebrata e considerata tesoro prezioso da custodire gelosamente.
Maria De Franco